Menzione di Merito per la fotografia 2018
Liceo Classico Simon Gregorčič Primož Trubar – Polo liceale Sloveno di Gorizia GO – Classe V
Studente: Jan Devetak
Un possibile approccio al corto:
So di non essere il solo a sentirsi isolato di fronte all’immensità del mare. Passeggio sulla spiaggia e osservo le onde accarezzare la sabbia. Improvvisamente vi intravedo il corpo di una ragazza. La sua carnagione scura ed i vestiti inconsueti mi fanno pensare che non sia di qui. Ha un aspetto malandato, tipico di chi è reduce da un lungo e spiacevole viaggio. Non sapendo se chiamare aiuto o meno, mi avvicino a lei per osservarla. È distesa immobile. Appena i suoi occhi marroni e spaventati vedono il mio volto, si posano su di esso. La sua espressione è un misto di terrore e malinconia.
Il ragazzo che mi accolse sulla riva del mare era diverso da quelli che ero solita vedere. I suoi capelli biondi e gli occhi verdi coprivano quel timido sole che fino a pochi attimi prima mi scaldava con i suoi raggi. Non riuscivo a muovere il mio corpo e mi misi a lacrimare. Piangevo perché quel ragazzo che ora sta cercando di soccorrermi sarebbe potuto essere mio fratello, se quest’ultimo non fosse morto in guerra quest’estate. La mia famiglia non c’è più, casa è lontana. Ho amato ed odiato il mio Paese, che tanto ha saputo darmi quanto sottrarmi. Sono fuggita in una terra dove sarò per sempre una straniera, odiata da tutti per il semplice fatto di essere diversa. Avessi potuto, non avrei agito così. Sognavo una vita normale, ma è stato deciso che non potessi viverla.
La ragazza smette di piangere. I suoi bei lineamenti non mostrano più alcun segno di irrequietudine. Come posso avere il diritto ad essere infelice, quando persone della mia età devono soffrire per il semplice fatto che sono nate dove ci sono povertà, miseria e guerra? Come posso avere il diritto di giudicare questa ragazza, di dirle che nel mio Paese non ci può stare? Mi immagino di baciarla, di portarla a casa con me. Di invecchiare con lei, di fare dei figli. Sogno un mondo migliore per entrambi, un mondo senza odio e senza conflitti. Lei sorride. Poi la vedo chiudere gli occhi.
Mai avrei pensato di morire così, ma almeno non ero sola. A tenermi compagnia c’era un bel ragazzo straniero che mi teneva per mano. Sorrisi, ripensando ai migliori momenti della mia infanzia. Tutta la mia gioia l’ho consumata allora. Chiusi gli occhi, sapendo che da quel momento in poi non avrei dovuto preoccuparmi di nulla.
Abbandono il corpo esanime della ragazza e volgo gli occhi all’orizzonte. Al di là del mare mi immagino esserci una madre che guarda lontano e si domanda se sua figlia è giunta a destinazione. A stento trattengo le lacrime, perché la speranza che mi figuro nei suoi occhi non esiste più in me. Siamo tutti stranieri l’uno per l’altro, ma la forza dell’amore ci accomuna e ci salva. Addio, terra mia, me ne vado per le mie, a nuoto verso l’ignoto, alla ricerca di quella madre che non rivedrà mai più la propria figlia. La voglio abbracciare forte e sussurrarle all’orecchio tutto ciò che posso dire per consolare il suo cuore affranto: quando è morta, non era sola.
Nel buio della notte che ci avvolge nascerà una nuova alba. Essa è pronta ad illuminarci tutti – senza distinzioni. Eppure, la sua luce, per quanto potente, non potrà ridare la gioia a chi vede i propri cari andarsene, a chi perde la vita per fuggire da una realtà terrificante, a chi muore ogni giorno vivendo nell’odio e nella lontananza di un Paese straniero.
Jan Devetak